News

Milena Lo Giudice

Milena Lo Giudice

La narrazione ha inizio…

La pediatria, disciplina della cura e della presa in carico del bambino,  anche nell’ ambito della medicina narrativa assume delle caratteristiche del tutto particolari. Innanzi tutto perché, a seconda delle diverse tappe di sviluppo del piccolo paziente, non possiamo raccogliere anamnesi e bisogni di salute dal’interessato stesso, sarà quindi  il genitore a fare da tramite nella relazione medico paziente,  con tutte le possibili distorsioni che questo può comportare. In secondo luogo perché  i linguaggi e le modalità comunicative del bambino hanno una sintassi specifica che travalica il significato semantico delle parole stesse e   non sempre risulta di facile  decodifica: Il pianto del bambino, ad esempio, è quasi sempre una manifestazione di disagio e paura, può celare una richiesta d’aiuto e di sostegno, ma può anche essere la manifestazione sonora del suo esistere e del suo stare al mondo.


Un’altra premessa da fare  è che, sempre  in ambito pediatrico, siamo di fronte ad un soggetto in rapida evoluzione, sulla quale esercitiamo una notevole influenza, infatti lo sviluppo fisico e psico-affettivo di ogni bambino  dipenderà in gran parte da quanto gli adulti che se ne saranno presi cura, genitori, medici, insegnanti, avranno adottato comportamenti e operato scelte adeguate al suo specifico bisogno.
Per guidare queste scelte e rispondere in maniera appropriata alle necessità  di ogni singolo bambino bisognerà intervenire all’inizio della sua narrazione, quanto più precocemente possibile. In quest’ottica  vorrei focalizzare l’attenzione sul neonato, ed in particolare sulla prima visita medica, in un contesto di cure primarie, il più delle volte, quindi,  al di fuori di particolari eventi patologici.
Infatti la prima visita, il primo incontro con il neonato rappresentano un momento speciale nel quale, all’interno di una narrazione già iniziata ed in corso di svolgimento, se ne innesta una nuova, come un germoglio fragile e delicato  da gestire con cura ed attenzione.
Per il pediatra risulta di notevole importanza l’accoglienza della famiglia appena nata, ed in particolare per la diade madre-bambino, con spirito di novità, disponibili a coglierne l’unicità e a mettersi in condizione di ascolto delle loro storie, creando le condizioni favorevoli perchè queste possano essere narrate. In un contesto  medico sappiamo bene che per storia si intende l’anamnesi familiare, fisiologica e patologica dei soggetti, così da potere avere dai pazienti gli elementi necessari per riconoscere i possibili eventi patologici o le eventuali malattie genetiche e ambientali. Chiaramente riveste grande importanza entrare in possesso di queste informazioni, sapendo però che in ogni caso, ed in particolare davanti ad una nuova coppia di genitori, questi dati non saranno sufficienti per la comprensione delle dinamiche profonde che guideranno le relazioni intrafamiliari fra i diversi attori.
Innanzi tutto, la madre  che ha partorito da pochi giorni, con ancora gli esiti e i problemi del parto recente,  è in qualche modo travolta dalla nuova realtà che sta vivendo: un bambino piccolo, fragile , che piange e richiede in maniera esigente tutte le attenzioni e le cure, presentandosi quasi da tiranno esclusivo del suo tempo e di ogni suo spazio mentale. Siamo di fronte ad una donna che comincia a diventare madre, che prende via via coscienza del suo nuovo stato, della sua responsabilità verso questa nuova piccola creatura che dipende in tutto e per tutto da lei. I sentimenti della neomamma hanno sempre un che di comune ma sono volta per volta caratterizzati dai vissuti che questa donna  ha attraversato, dalla sua motivazione alla maternità, dal suo rapporto con la madre, dalle sue aspettative di vita, dal supporto del partner, dalle sue conoscenze in senso ampio. Accanto alla storia sanitaria andrà allora richiesta ed ascoltata la “narrazione” della madre dandole spazi di ascolto, ponendola a proprio agio, incoraggiandola a manifestare sentimenti e vissuti profondi ed aiutarla a prendere coscienza della sua condizione e predisposizione d’animo dinanzi al nuovo nato. Con delicatezza bisognerà aiutarla a ad identificare le sue motivazioni alla maternità e la sua propensione al suo nuovo ruolo, che la spaventerà quanto più nel suo percorso i suoi vissuti saranno stati caratterizzati da situazioni pregresse negative, personali o esperienziali in senso lato. Andrà dato ampio spazio ed attenzione alla narrazione della madre, consapevoli che la storia del neonato si iscrive all’interno di questo percorso influenzandolo profondamente ed essendone a sua volta  influenzato in maniera  intima e intensa.
Le richieste d’aiuto della madre, quindi, andranno decodificate all’interno della sua narrazione, da questa, infatti, emergeranno  bisogni di sostegno, di incoraggiamento, di affermazione della propria autostima, per acquistare sicurezza per il nuovo ruolo e per la nuova responsabilità. I sentimenti di inadeguatezza quasi sempre accompagnano le neomamme ma possono diventare gravosi e quasi paralizzanti se non li si affronta, se non li si narra allontanandoli da se.
Durante la  prima visita pediatrica, inoltre, non andrà sottovalutata la figura del padre, personaggio che apparentemente vive un ruolo di secondo piano: non è lui l’eroe che ha affrontato l’evento parto, il suo corpo non ha risentito di modifiche per la sua paternità, il suo contatto materiale con il neonato, a differenza di quanto è avvenuto per la mamma, è appena iniziato, e non dovrà essere lui ad attaccarlo al seno per nutrirlo. Il padre potrebbe quindi vivere sentimenti di estraneità, talvolta persino di gelosia, una sorta di spaesamento di fronte ad un evento che tanto lo riguarda ma che tanto poco potrebbe rischiare di coinvolgerlo. Eppure la figura del padre da un punto di vista strettamente “etologico” riveste una notevole importanza anche nella relazione madre-bambino, costituendo per essa una sorta di difensore:  il  ruolo protettivo e facilitatore del padre è condizione quasi essenziale per l’equilibrio affettivo del nuovo nucleo familiare. Sarà importante  quindi raccogliere anche la narrazione del padre, aiutarlo a verbalizzare le sue aspettative e le sue ansie in relazione a quello che è stato il suo rapporto con il proprio padre e soprattutto i suoi pensieri sul senso di paternità e di filiazione.
La madre e il padre dovranno essere sostenuti nei rispettivi processi di ammaternamento e appartaternamento in accordo alle teorie di Nicole Quemada1, secondo le quali l’accudimento e la conseguente relazione di cura  con il neonato costituiscono un tempo ed una funzione basilare per il futuro sviluppo del bambino. J rispettivi processi di ammmaternamento ed appaternamento non sono però da considerarsi come un fenomeno predeterminato il cui svolgimento ha in qualche modo un percorso già segnato. In realtà questi processi sono il frutto e l’esito delle condizioni esperienziali dei singoli. Conoscere quindi attraverso la narrazione le esperienze e le acquisizioni pregresse risulterà necessario e fondamentale per potere agire da facilitatore perché l’inizio della nuova narrazione del neonato possa avviarsi nel migliore dei modi possibile.
Non sarebbe infatti pensabile di rivolgersi ai nuovi genitori, soggetti che per il pediatra risultano in genere estranei, senza conoscere la storia che li ha condotti a questo punto: quanto questo bambino sia stato voluto, desiderato:  Quali sogni e aspettative si riversano sul figlio? Quale sarà la posizione del padre e della madre nei confronti dei diversi stili educativi? Quanto vorranno e sapranno prendersi carico delle nuove condizioni di vita che inevitabilmente la  presenza di un bambino comporta? Alla luce di tutto questo, acquisiti gli elementi conoscitivi della narrazione operata e in qualche modo “estorta” ai genitori possiamo dare inizio alla nuova narrazione, non come registi ma come operatori dell’empowerment, del potenziamento delle figure genitoriali nella loro funzione specifica.
Innanzi tutto andrà esplicitato che in nessun caso si tratterà di una storia già narrata; il nuovo bambino che viene al mondo, unico e irripetibile dal punto di vista storico e biologico, scriverà una storia tutta sua con le sue novità e il suo apporto di  originalità alla comunità degli uomini.
Il bambino andrà quindi presentato ai genitori, appunto, come il protagonista di un’avventura del tutto nuova e bisognerà anche  metterli in guardia dall’abitudine al confronto con gli altri bambini, sui diversi parametri di crescita, sui differenti tempi delle tappe dello sviluppo psicomotorio e quant’altro. Il piccolino dovrà invece essere presentato alla madre e al padre evidenziandone le caratteristiche di fragilità e le specifiche modalità relazionali. In poche parole dovremo aiutare i genitori, e la madre in particolare, a costruire una storia che prenda le sue mosse da una base sicura come esito di un solido attaccamento. Il neonato narra la sua    storia col pianto, piangendo infatti racconta la sua angoscia, i suoi bisogni vitali, la fame, il freddo, ma anche i suoi bisogni di rassicurazione e di contenimento.  
Il concetto di “base Sicura” trae origine dalle teorie ormai ampiamente accreditate di John Bowlby (1907-1990)2, il quale sosteneva che solo se il bambino avrà vissuto il processo di attaccamento con la madre, o chi per lei, e avrà sperimentato la presenza di una persona che risponde amorevolmente ai suoi bisogni potrà acquistare fiducia e consapevolezza del sé potendo così avviarsi a diventare a sua volta un adulto “sicuro” dalla personalità stabile. Bisognerà quindi adoperasi affinchè vengano posti in essere tutti quei comportamenti che aiutino il bambino a sviluppare questa relazione profonda ed essenziale per il suo equilibrio futuro. In quest’ottica l’allattamento al seno è probabilmente da considerarsi come la prefazione obbligata della nuova storia. Il latte materno infatti per il bambino non è solo l’alimento unico ed essenziale per la sua crescita somatica, è anche e soprattutto il mediatore delle sensazioni della madre, della sua tenerezza del suo calore. Per il neonato essere allattate al seno  tra le braccia morbide e accoglienti della madre che lo coccola e lo protegge, percependo il suo odore, udendone il ritmo familiare del battito cardiaco, sentendosi avvolto dal suo sguardo che lo scruta e lo studia,  rappresenta un patrimonio di benessere e gratificazione che stratificandosi nell’inconscio lo accompagnerà per tutta la vita. Bisognerà adoperarsi fortemente perché il bambino venga allattato al seno sostenendo ed aiutando la madre, coinvolgendo anche il padre nel suo ruolo di supporto alla nutrice, consapevoli che il successo dell’allattamento è il risultato di un processo sistemico in cui appunto una diffusa cultura dell’allattamento risulta necessaria.
L’io narrante della madre dovrà essere incoraggiato, ascoltato e guidato verso azioni e scelte il più possibile favorevoli per il figlio, presentandolo, come dicevamo prima nelle sue peculiari caratteristiche e competenze. Berry Brazelton3, il noto pediatra della Harvard University di Boston, parla di specifici touchpoints nei diversi momenti della crescita del bambino, questi costituiscono delle vere e proprie tappe di sviluppo precedute da una sorta di crisi di crescita. Il bambino, infatti,  prima di acquisire nuove specifiche competenze ha una sorta di regressione accompagnata da pianto e comportamenti difficilmente comprensibili se non alla luce di questo percorso evolutivo. Il pediatra dovrà quindi “narrare” il bambino alla madre, e darle gli strumenti conoscitivi necessari per comprendere al meglio i comportamenti ed i segnali che io bambino invia volta per volta. A tal fine bisognerà anche rispondere, alle numerosissime domande che vengono poste, sulle condizioni di salute, sull’accudimento ma anche sulle capacità e sulle competenze del neonato.
Per concludere questa breve trattazione trovo interessante il fatto che uno dei quesiti più frequenti è: ”ci vede?” che in realtà vuole dire :” quando mi vedrà?” Suscita sempre un aura di commozione rispondere che il neonato vede alla nascita solo le grandi fonti di luce, e comincia a mettere a fuoco intorno alla ventesima giornata di vita ad una distanza focale di circa 40 centimetri, misura che, in una donna adulta, corrisponde più o meno alla distanza dal capezzolo agli occhi , questo significa che la prima immagine che il bambino vedrà saranno  gli occhi della sua mamma mentre lo allatta.
La nuova narrazione può quindi avere inizio

1Nicole Quèmada Cure materne e adozione, 2000, UTET

2 John Bowlby Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell'attaccamento  Raffaello Cortina - 1996

3 T. Berry Brazelton, Il bambino da 0 a 3 anni. Guida allo sviluppo fisico, emotivo e comportamentale del bambino, Fabbri, Milano, 2003